Considerazioni sulla Fotografia
Recentemente ho letto un articolo in cui, un gallerista londinese e una fotografa egiziana, forniscono alcuni consigli su come crearsi una carriera all’interno di quella che chiamano fotografia fine art. La lettura ha generato in me una riflessione che ora vado a condividere.
L’articolo parte con il domandare cosa definisce la fotografia fine art. La fotografa risponde che, tale tipologia di fotografia, è la visione di un’artista tradotta in immagini, con un’idea dietro. Questo porta a chiedersi se, nel resto della produzione fotografica, l’idea possa essere volutamente tralasciata. Per natura, il fotografo traduce la sua visione in immagini per cui, sarebbe più opportuno chiedere cosa rende artistica una fotografia. Il gallerista, dal canto suo, afferma che la fotografia fine art è un progetto o un processo che sia basato su un concetto che per esito finale ha uno scopo artistico e non mira a documentare una situazione. Trovo ironica questa affermazione in quanto, anch’esso non definisce il valore di artisticità intrinseco alla fotografia fine art. Nondimeno, afferma che non debba essere documentaria, mentre la Fotografia è per definizione documentaria. Inoltre, nell’affermare ciò, sembra non tener conto che alcuni dei suoi rappresentati hanno basato la loro intera carriera sulla fotografia a carattere documentale. Anche in questo caso, sarebbe stato più lecito domandare come ricercare nella documentazione una connotazione artistica. Ciò che emerge da queste prime battute è che neanche gli addetti ai lavori hanno una vaga idea di cosa significhi fotografia fine art. Sempre che sia questa la dicitura corretta per individuare la tipologia di Fotografia a cui alludono. Il pensiero che basti associare la parola arte, nelle sue varie declinazioni, alla Fotografia mi sembra alquanto fuori luogo e riduttivo.
Scorrendo la lettura, le varie tematiche illustrate possono essere lette sia dal punto di vista del gallerista, che da quello della fotografa. Parto dalle risposte del gallerista. Afferma che, una galleria commerciale di fascia alta, non scopre i fotografi per caso e decide di contattarne uno solo quando c’è abbastanza interesse attorno ad esso, tanto da proporli una mostra. Questo è il tipico atteggiamento di chi vuole vincere facile. Le gallerie fotografiche hanno come compito primario la scoperta di quelli che saranno i trend del mercato, lavorare sul futuro, anticipare ciò che farà tendenza. Possono anche accaparrarsi il fotografo in voga ma, occorre fare un’attività di reclutamento e divulgazione di nuovi talenti (anche sconosciuti ai più). Solo così, si potrebbe attuare un ricambio generazionale e, sopratutto, sarebbe la fine di quelle gallerie che annoverano fra i rappresentati una grossa frazione di fotografi famosi e pochissimi giovani. Il gallerista dell’articolo è su questa linea infatti, se non avesse determinati personaggi, dubito che la sua galleria esisterebbe. Il problema principale è che nessuno si vuole assumere l’onere o il dovere di investire in nuove persone e nel nostro paese siamo maestri in questo. Oggi le gallerie (e di conseguenza il mercato fotografico) sono alimentate esclusivamente da fotografi facoltosi che possono comprarsi l’artisticità o da fotografi che hanno nei loro lavori dei volti noti che generano più attenzione del lavoro fotografico stesso. Ma questa pratica è ancora Fotografia o mera speculazione? Non dimentichiamoci che, se continuiamo a rappresentare i soliti nomi, perdiamo completamente la connotazione di Unicità che questo genere di Fotografia merita. Inoltre, da quanto letto, le gallerie contattano i fotografi per proporre delle mostre, non capendo che è l’ultima cosa da attuare. Il mostrare qualcosa è utile solo quando si monetizza il Valore Univoco di un Fotografo. Ciò che mostriamo oggi non è più qualcosa di celato. Non siamo più alla mostra dei Cubisti, dei Futuristi, dei Dadaisti, dove era necessario mostrare per conoscere il lavoro altrui o per affermare un’ideale. Oggi, la Fotografia arriva alla sua esibizione già conosciuta (e sovente priva di un’ideale). Le mostre si fanno quando si ha qualcosa da mostrare. Risulta inutile continuare a rileggere i lavori di qualcuno per sperare di presentare un’allestimento differente. La mostra viene concepita per attrarre clienti ma, fino a questo momento, non è servito. Se questo settore è in crisi, si deve proprio al fatto che si spendono soldi per mettere in piedi un qualcosa che non genera un ritorno economico. I galleristi oltre al scoprire nuovi fotografi devono stanare le persone interessate all’acquisto della Fotografia. Se non sono loro l’anello di congiunzione tra domanda e offerta, perché esistono ancora? A onor del vero, nell’articolo, si afferma che le gallerie devono vendere il Fotografo. Ho scritto abbastanza su questa tematica e mi trovo concorde. Il nome del Fotografo è un Marchio, sinonimo di una determinata qualità e tipologia di lavoro. La galleria acquista questo, valorizza questo, vende questo. Il gallerista dell’articolo lega l’artisticità ad un determinato prezzo di stampa, cosa che disapprovo. Uno è un’ Autore Fotografico (questo è il termine corretto) a prescindere, non perché vende le sue stampe a determinate cifre o perché ha pubblicato cinquanta libri.
Uno dei punti su cui verte l’articolo è il guadagnarsi il proprio posto all’interno della comunità fotografia. Qui, si apre un’ampio discorso legato al concetto di luogo in cui si esercita la professione. Non possiamo pensare di essere accettati dalla comunità mondiale, se prima non siamo considerati dalla comunità che ci circonda. Qual’è la comunità che ci circonda? Che valore ha? Il mare di associazioni che tirano acqua al proprio mulino screditando il prossimo, si può chiamare ancora comunità? Discorso diverso e più complicato è l’inserirsi nella comunità mondiale. Le gallerie dovrebbero essere utili anche in questo. Dovrebbero sostenere e rafforzare la conoscenza dei nuovi fotografi, anche quando non li rappresentano direttamente. Possiamo avere dei siti internet, stare sui social network e partecipare a mille concorsi ma, senza l’aiuto della comunità fotografica stessa non si può emergere e farne parte. La chiave è questa: cosa stiamo facendo per avere una posizione nella comunità? Come la comunità è conscia della nostra esistenza? Come la comunità ci aiuta?
Il tema della comunità fotografia, offre lo spunto per passare all’analisi dell’articolo dal punto di vista della fotografa. Lei parla del fare rete e qua torniamo al discorso del luogo di lavoro. Non possiamo immaginare di fare rete con persone che stanno dall’altra parte del globo. La rete sono le persone che ci circondano direttamente, quelle della nostra città, della nostra regione. Occorre chiedersi se tutte le figure professionali, inerenti la fotografia, che vivono attorno a noi siano disposte a fare rete. Perché, se si avesse una buona base territoriale, espanderla sarebbe assai facile. Rete significa anche riuscire a mettere in pratica le proprie idee e fare la propria Fotografia. Ognuno di noi sa quanto sia difficile. Generalmente avere una rete di conoscenze significa poter contare sull’aiuto di tutti. Allora, possiamo ancora chiamare rete il conteggio dei seguaci prima di accettare di lavorare con qualcuno? Possiamo ancora chiamare rete il cercare un tornaconto personale nel lavoro altrui? La domanda principale da porsi è questa: qual’è la rete in cui inserirsi?
Un’altro concetto caro alla fotografa e quello che, per fare fotografia fine art, occorra avere un mestiere redditizio di appoggio. Nel nostro paese è un concetto ben radicato infatti, per fare Fotografia, occorre avere minimo tre mestieri alle spalle, meglio se uno a tempo indeterminato in un luogo pubblico. Parla di diventare fotografi di matrimoni per avere un rientro economico. Trovo la cosa improponibile perché, nel nostro paese, probabilmente sono i fotografi a pagare per fare un matrimonio. Siamo tutti fotografi di cerimonie. Continua dicendo che i fotografi di fascia alta hanno una seconda attività redditizia. Nulla di nuovo, è noto che chi si occupa di fotografia commerciale o fotografia di moda ha più indipendenza e possibilità. Salvo poi, spacciare i lavori commerciali o di moda per questa fantomatica fotografia fine art. Anche qua gli italiani sono maestri ed è proprio questo equivoco che genera l’incomprensione sul concetto di fotografia fine art. Da quanto appreso, la fotografia fine art deve contenere la radice artistica perciò, faccio questa domanda: ricordate Man Ray per i lavori commissionati da Poiret o per “le Violon de Ingres”? Potete dire la stessa cosa di quei fotografi ritenuti mostri sacri della fotografia italiana? Annoveriamo una marea di volti noti di cui non ricordiamo le fotografie artistiche ma, bensì, perché hanno fotografato tizio o caio. Riuscite a cogliere la differenza tra una Fotografia d’Autore (è questo il termine corretto) e una fotografia commerciale spacciata per artistica? Una dritta, se proprio dovete, comprate la rivista di moda dove questi santoni pubblicano le loro foto, vi costa meno e occupano meno spazio del loro Ego.
L’articolo termina con quella che chiamano visione artistica. Trovo ironico che, chi parla di visione artistica, non faccia abbastanza autocritica da capire di fare della fotografia banale e stravista. Aprendo un qualsiasi canale social si individuano miliardi di immagini simili a quelle create dalla fotografa. La domanda è questa: essere unici, al giorno d’oggi, è fare quello che fanno tutti sbiadendo i colori o cambiando i viraggi? L’unicità sta nell’accomunarsi alla massa o ritornare ad usare il banco ottico?
Penso che le domande fondamentali per un fotografo che aspiri ad essere un’ Autore Fotografico (perché è questa la denominazione adatta; fotografo fine art, fotografia fine art non significano sostanzialmente nulla) debbano essere queste: Cos’è Fotografia? Qual’è l’unicità del mio Linguaggio? O, come ho scritto altrove, cosa rende Univoco il mio scatto? Ho la sensazione che, la maggior parte dei fotografi, non sappia rispondere a queste domande (e sfido chiunque si senta fotografo a farlo). Sulla prima domanda tutti dicono concetti banali e scontati. Sulla seconda, non si fa abbastanza autocritica per dare una risposta sensata.
Non ho delle domande chiave per i galleristi però, mi piacerebbe approfondire e instaurare un dialogo con loro. Vorrei capire perché queste realtà sono praticamente morte e come sia possibile portare questo lavoro nel presente.
L’articolo menzionato è raggiungibile dal seguente link: https://www.canon.it/pro/stories/fine-art-photography-tips/?WT.mc_id=pro_0595-202102n_22022021_hq-ce...
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